Siete pazzi a indossarlo! L’altra faccia del fast fashion

Possiamo tranquillamente ammettere che questo peccato l’abbiamo commesso un po’ tutti.

I negozi di noti marchi di abbigliamento a basso costo sono il moderno canto delle sirene: paradisi di capi in vendita a poche decine di euro dove fare rifornimento delle ultime tendenze senza dilapidare lo stipendio. Amati anche da star e blogger, che hanno lanciato il trend del mix and match fra abiti e accessori costosi con altri decisamente low cost. Ma è tutto oro quello che luccica?

Come emerge ormai da più parti, dietro al continuo ricambio sugli scaffali di queste catene, dietro ai capi che ci portiamo a casa e che si usurano dopo pochi lavaggi, dietro a tessuti che emanano odori artificiali, c’è un mondo tutt’altro che limpido.

La giornalista Elizabeth L. Cline, nel suo libro “Siete pazzi ad indossarlo” edito da Piemme, ha compiuto un’indagine mondiale – dalla Cina al Bangladesh, fino all’Italia – sull’industria dell’abbigliamento apparentemente a basso costo e che invece risulta avere un costo altissimo per la nostra salute, il nostro ambiente, la nostra economia.

Da salari bassissimi a zone con tassi di inquinamento elevatissimi, sfruttate per la produzione a ciclo continuo. Dalla perdita di posti di lavoro a quella del know-how, dell’artigianalità, delle tradizioni sartoriali che hanno fatto la storia della moda.

Infine, la corsa all’accumulo di capi a basso costo produce – secondo la ricerca della Cline – “compulsività, insoddisfazione, stress e perdita di personalità e stile“.

A questo punto bisognerebbe capire se siamo pronti a rinunciare al continuo accumulo di nuovi capi nei nostri armadi per salvaguardare tutto ciò che il fast fashion sta totalmente distruggendo. E ancora: penseremo a qual è stato il salario di chi ha realizzato per noi quella t-shirt che costa 2.99 € prima di acquistarla? Il pianeta può sopportare un consumo di abbigliamento così elevato? E a quale costo? Saremo capaci di RALLENTARE?

Ma soprattutto, guardando all’altra faccia della medaglia: siamo certi che il prezzo più elevato sia indice di qualità? Siamo certi che dietro ad alcuni marchi di lusso non vi sia la stessa, sfrenata, scorretta produzione?

Di fronte a queste domande, bisogna necessariamente soffermarsi sul ruolo svolto dall’Italia. Siamo il paese che, più di ogni altro, è noto per alta moda, qualità dei materiali, stile. Pur non essendo affatto un Paese immune dalla corsa ai prezzi più bassi, è proprio dall’Italia che emerge una spinta al cambiamento, fotografata nell’indagine delle Cline. La Camera della Moda ha fissato obiettivi di sostenibilità ambiziosi, e nella stesa direzione si stanno muovendo celebri marchi come Valentino, Gucci, Armani, Prada, Versace, Ermenegildo Zegna e Salvatore Ferragamo.

A livello globale, catene come H&M hanno avviato dei programmi di raccolta di indumenti usati nei propri punti vendita e lanciato collezioni realizzate con materiali ecosostenibili.

Ma non basta. La strada è ancora lunga.

Proprio per proseguire nella giusta direzione, e raggiungere obiettivi tangibili, questo è il momento di farsi delle domande e di andare anche a cercare in modo approfondito le risposte.

 

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